
Trasferirsi all'estero può cambiare radicalmente la vita, soprattutto facendolo con curiosità e voglia di mettersi in gioco. È il caso di Enrico che, partito a 20 anni per la Nuova Zelanda con l'obiettivo di imparare l'inglese, ha costruito una carriera tra marketing digitale, volontariato e lavoro sostenibile, passando per Australia, Lituania, Portogallo e infine Danimarca. In questa intervista ci svela com'è vivere nei diversi Paesi, cosa significa adattarsi a nuove culture e dà dei consigli a chi sogna di partire.
Quando hai deciso per la prima volta di trasferirti all'estero? Cosa ti ha spinto a farlo?
Dopo il diploma ero piuttosto indeciso sul mio futuro: università o lavoro? Ho trovato subito lavoro come barista, ma sentivo che mancava qualcosa. Imparare l'inglese era sempre stato uno dei miei obiettivi, anche se a scuola ero completamente negato per le lingue. Così ho deciso di cambiare prospettiva e fare un'esperienza vera, radicale. Ho preso un mappamondo, cercato il punto più lontano dall'Italia dove non ci fossero italiani e dove si parlasse solo inglese... ed eccola lì: Aotearoa, la Nuova Zelanda.
A 20 anni ho fatto le valigie e mi sono trasferito ad Auckland, dove ho trascorso il primo anno come studente di uno scambio linguistico. Quell'esperienza ha segnato una svolta: mi ha aperto la mente e fatto nascere in me una vera passione per la vita all'estero. Alla fine ho vissuto in Nuova Zelanda per due anni. Dopo il primo anno di studi linguistici, ho frequentato un diploma in Marketing presso l'Università di Auckland. Durante quel periodo ho lavorato in diversi ambiti, fatto volontariato e avuto l'opportunità di realizzare il mio primo sito web internazionale per l'associazione Slow Food Auckland—un'esperienza che ha acceso il mio interesse per il digitale e la comunicazione.
Hai vissuto in diversi Paesi: quali sono le principali differenze che hai notato tra loro, sia a livello culturale che pratico?
Vivendo in diversi Paesi, ho notato tantissime differenze, sia culturali che pratiche. Nuova Zelanda e Australia, ad esempio, sono due realtà completamente diverse nonostante la vicinanza geografica. Cambiano lo stile di vita, l'architettura, la storia, il cibo, e soprattutto il modo di pensare, molto lontano non solo dall'Italia, ma anche dall'Europa in generale. In Nuova Zelanda ho percepito un forte legame con la natura e con la cultura Māori, mentre l'Australia mi è sembrata più frenetica e cosmopolita, soprattutto nelle grandi città.
In Lituania ho vissuto in un piccolo paese del nord, dove si respira ancora, in parte, un retaggio dell'ex Unione Sovietica. La mentalità può sembrare chiusa all'inizio, ma ho scoperto che i lituani, pur essendo introversi, sono un popolo fantastico. Ci vuole tempo per creare un legame, ma una volta costruita l'amicizia, è profonda e sincera, amano il nostro bel paese. Portano avanti le loro tradizioni come i balli tradizionali a cui anche i giovani partecipano. In Italia, al contrario, siamo più estroversi e socievoli fin da subito, ma a volte le relazioni tendono a restare più superficiali nel lungo periodo. In Italia abbiamo perso le tradizioni, per lo meno nelle grandi città.
In Portogallo ho trovato un popolo accogliente, allegro e solare. Anche se inizialmente possono sembrare un po' riservati, i portoghesi sanno farti sentire a casa con il loro calore. La burocrazia, di contro, è molto lenta così come lo stile di vita.
I danesi, invece, sono molto riservati all'inizio, ma estremamente educati, gentili e disponibili. Una volta superata la barriera iniziale, si rivelano persone autentiche e rispettose. Sono molto puntuali e diretti.
Ogni Paese mi ha insegnato qualcosa di diverso, e proprio queste sfumature culturali sono ciò che più mi affascina del vivere all'estero.
Come esperto di mobilità internazionale, che consigli puoi dare a chi si sta trasferendo all'estero per la prima volta?
Sono partito per la mia prima esperienza all'estero un po' all'avventura, spinto dall'entusiasmo e dalla curiosità, ma con poca preparazione. Ero molto giovane e inesperto. Oggi, pur sentendomi ancora giovane, mi considero decisamente più maturo e responsabile, e con il senno di poi posso dare alcuni consigli preziosi a chi si appresta a vivere questa esperienza per la prima volta.
Il primo suggerimento è quello di partire con un obiettivo chiaro: che sia imparare una lingua, svolgere un tirocinio, lavorare o anche solo viaggiare per scoprire una nuova cultura, avere una motivazione concreta aiuta a superare le difficoltà iniziali e a dare un senso all'esperienza.
In secondo luogo, è fondamentale prepararsi per tempo. Se si ha intenzione di trasferirsi per un periodo lungo, consiglio di iniziare a fare ricerche almeno 5 o 6 mesi prima della partenza. Informarsi bene sul Paese, sul costo della vita, sulle pratiche burocratiche, sulle opportunità lavorative o formative. Strumenti come Google, forum, blog, ma soprattutto i gruppi di expat sui social possono essere una risorsa preziosissima per ottenere consigli reali da chi vive già lì.
E infine, serve anche un pizzico di coraggio. Nessuna preparazione sarà mai completa al 100%, quindi a un certo punto bisogna smettere di cercare certezze e fare il salto: partire. È nel rischio, nella scoperta e nella gestione dell'ignoto che si cresce davvero.
Quali sono, secondo te, gli errori più comuni che gli espatriati fanno nei primi mesi all'estero?
Uno degli errori più comuni che vedo tra gli espatriati nei primi mesi all'estero è sottovalutare l'importanza di avere un piano di attività. Spesso, si parte con entusiasmo ma senza una chiara idea di cosa fare una volta arrivati. Avere un obiettivo, che sia imparare una lingua, trovare lavoro o iniziare un percorso formativo, è fondamentale per dare un senso e una direzione all'esperienza.
Un altro errore frequente è non essere preparati nella ricerca della casa. Trovare una sistemazione stabile, sicura e ben posizionata è cruciale per l'adattamento. Molti sottovalutano quanto possa influire sulla qualità della vita e sul benessere psicologico.
Inoltre, è facile cadere nella trappola di concentrarsi troppo sulle piccole cose quotidiane che risultano difficili da gestire, come l'interazione con le persone locali. Ogni Paese ha una cultura diversa e, seppur parlare la lingua sia importante, non basta: bisogna essere disposti a comprendere e adattarsi ai comportamenti e alle usanze del posto.
Un altro errore comune è cercare subito altri italiani. Seppur comprensibile, questo può portare a una forma di isolamento dalla cultura locale. Vivere all'estero non dovrebbe essere un "Italia all'estero", ma un'opportunità per integrarsi, imparare e ampliare i propri orizzonti.
Infine, molti espatriati commettono l'errore di pensare e comportarsi come se fossero ancora in Italia, giudicando subito anche le cose più piccole o aspettandosi che tutto funzioni come nel loro Paese. L'adattamento richiede pazienza, umiltà e la capacità di comprendere prima di criticare. Non essere preparati con una pianificazione concreta e non conoscere la lingua sono altri due fattori che possono rendere l'esperienza all'estero più difficile del previsto. La lingua, in particolare, è la chiave per aprire porte e creare connessioni significative con il luogo in cui si vive.
Cosa dovrebbe sapere chi vuole lavorare o studiare fuori dall'Italia, ma non sa da dove iniziare?
Chi vuole lavorare o studiare all'estero, ma non sa da dove iniziare, dovrebbe sapere che esistono tantissime opportunità, anche per chi non ha una laurea o esperienze lavorative pregresse. Un ottimo punto di partenza sono i programmi Erasmus Plus, che offrono opportunità di studio, tirocini, scambi culturali e anche esperienze di volontariato. Tra questi, l'Erasmus per Giovani Imprenditori è particolarmente interessante: non ha limiti di età e permette di avviare un progetto imprenditoriale all'estero, ottenendo supporto per svilupparlo.
Per chi è interessato al volontariato, ci sono numerosi progetti finanziati che non solo offrono un'esperienza significativa, ma che prevedono anche il pagamento di stipendi o contributi. Inoltre, esiste Eures, un programma che aiuta a trovare lavoro in Europa, anche con contratti a tempo indeterminato. Eures offre anche dei benefici economici, come contributi per il trasferimento o corsi di lingua, e non c'è un limite di età per partecipare.
Se il budget è limitato, ci sono anche scambi giovanili Erasmus Plus per periodi brevi, che spesso includono corsi di lingua, permettendo di fare un primo passo verso l'integrazione nel Paese ospitante.
Infine, per chi desidera andare fuori Europa, il Working Holiday Visa è una fantastica opportunità. Questo visto consente di lavorare e viaggiare in Paesi come Australia, Nuova Zelanda e Canada, e può rappresentare un primo passo importante per stabilirsi all'estero, avendo la possibilità di lavorare temporaneamente mentre si esplorano le opportunità locali.
Cosa ti ha portato a Copenaghen? E cosa ti ha fatto restare?
Mi sono trasferito a Copenaghen perché ho ottenuto un'opportunità lavorativa come responsabile eCommerce nel settore dell'economia circolare, un campo che mi appassiona molto. In realtà, mi è sempre piaciuto vivere nel Nord Europa, e sentivo che la città e la sua cultura rispecchiassero molto la mia personalità. Amo la serenità e l'organizzazione che caratterizzano questa parte del mondo, e soprattutto sono un grande amante del freddo e della natura nordica. La tranquillità, il verde delle città e il rispetto per l'ambiente sono aspetti che mi affascinano e che mi hanno convinto a rimanere. Copenaghen è una città che riesce a combinare modernità e sostenibilità in modo incredibile, e questo è uno degli aspetti che mi ha fatto decidere di fermarmi.
Com'è vivere in Danimarca per un italiano? Ci sono aspetti della vita quotidiana che ti hanno colpito in positivo o in negativo?
Vivere in Danimarca come italiano ha i suoi pro e contro, ma in generale mi trovo molto bene. Lo stile di vita è tranquillo e la qualità della vita è alta, grazie anche al perfetto equilibrio tra lavoro e vita privata. La Danimarca è famosa per il suo ottimo work-life balance, che permette di avere molto tempo libero da dedicare alla famiglia, agli amici e a se stessi. Questo è un aspetto che trovo davvero positivo e che rende la vita qui piacevole.
Tuttavia, ci sono anche alcune difficoltà. Il costo della vita è elevato, soprattutto nelle grandi città come Copenaghen. Inoltre, il clima danese può essere difficile da affrontare per chi non è abituato: ci sono lunghe ore di buio in inverno e un freddo che può essere piuttosto intenso. Un altro aspetto complicato è la lingua: il danese è una lingua complessa e non così facile da imparare, il che può creare difficoltà iniziali, soprattutto per integrarsi completamente.
Per quanto riguarda i danesi, sono un popolo fantastico, molto disponibile e gentile. Però, all'inizio, non è facile entrare in contatto con loro. La cultura danese tende ad essere più riservata e introversa, quindi ci vuole un po' di tempo per farsi conoscere. Una volta che si riesce a rompere il ghiaccio e stabilire una connessione, però, le amicizie diventano molto sincere e solide.
Hai mai pensato di tornare in Italia o ti vedi ancora all'estero nei prossimi anni?
Nel corso degli anni, ho fatto ritorno in Italia, più precisamente a Trieste, durante i periodi di transizione tra un Paese e l'altro. Tuttavia, non mi sono mai fermato a lungo: sono rimasto massimo un anno prima di ripartire. Al momento, dato che sono ancora giovane (30 anni), mi vedo continuare a vivere all'estero, esplorare nuovi Paesi e immergermi in culture diverse. Mi affascina molto l'idea di conoscere persone internazionali e di continuare a crescere sia personalmente che professionalmente in contesti internazionali. L'esperienza all'estero è qualcosa che mi arricchisce ogni giorno, e non sento ancora il bisogno di tornare stabilmente in Italia.