
Gran parte del mondo si trova ad affrontare le stesse sfide: la popolazione invecchia, i tassi di natalità calano e i governi innalzano progressivamente l'età pensionabile. Molti lavoratori restano attivi più a lungo perché non ci sono abbastanza giovani a sostituirli, e la carenza di manodopera sta già frenando la crescita economica. Cosa significano questi cambiamenti per il mercato del lavoro internazionale? E quali soluzioni stanno proponendo i governi?
Vivere più a lungo, lavorare più a lungo?
Giovedì 22 maggio, il Parlamento danese ha votato per innalzare l'età pensionabile da 67 a 70 anni. Più nel dettaglio, salirà a 68 entro cinque anni e raggiungerà i 70 nel 2040. Mentre i media internazionali parlano di una piccola “rivoluzione”, il governo danese sottolinea che si tratta della naturale prosecuzione di una politica già in vigore: in Danimarca l'età pensionabile è indicizzata all'aspettativa di vita. Per questo i danesi hanno interiorizzato da tempo l'idea del “vivere più a lungo, lavorare più a lungo”. La riforma delle pensioni in Francia si è ispirata alla stessa logica, anche se con esiti più controversi. Approvata tra forti proteste nel 2023, prevede l'aumento dell'età legale di pensionamento da 62 a 64 anni, a seconda dell'anno di nascita. Le difficoltà dell'attuale governo e la persistente opposizione di una parte della popolazione mantengono però alta la tensione, e alcuni partiti chiedono ancora la sospensione della riforma.
La Danimarca non è l'unico Paese ad aver legato le regole pensionistiche all'aspettativa di vita. Anche Italia, Paesi Bassi e Portogallo hanno seguito la stessa strada. Nel 2024, il governo italiano ha proposto di consentire ai dipendenti pubblici che lo desiderano di restare al lavoro fino a 70 anni. Nonostante le critiche dei sindacati, l'esecutivo ha mantenuto la sua posizione e sta preparando gradualmente il terreno per portare l'età pensionabile legale a 70 anni per tutti, non solo per i dipendenti statali. Nei Paesi Bassi, l'età salirà dagli attuali 67 a 68 anni entro il 2040. In Portogallo, invece, varia progressivamente in base all'aspettativa di vita: oggi è fissata a 66 anni e 7 mesi e raggiungerà i 66 anni e 9 mesi nel 2026.
Mercato del lavoro internazionale: lavorare fino a 70 anni
Anche la Germania sta introducendo gradualmente un'età pensionabile più alta: da 65 a 67 anni per i lavoratori nati tra il 1947 e il 1964. Negli Stati Uniti lo schema è simile: per ricevere la pensione piena bisogna restare al lavoro più a lungo. Chi è nato nel 1959 deve lavorare fino a 66 anni e 10 mesi; dal 2026, per i nati nel 1960 o dopo, l'età salirà a 67 anni.
In Giappone, lavorare fino a 70 anni - e oltre - non è raro. L'età per ottenere la pensione piena resta fissata a 65 anni, ma pochi smettono di lavorare così presto. Secondo il Ministero del Lavoro, oltre il 13% della forza lavoro ha più di 65 anni. Più del 50% delle persone tra i 65 e i 69 anni continua a lavorare, così come oltre il 30% dei 70-74enni e il 10% degli ultra 75enni. Di fatto, le aziende sono incoraggiate a trattenere i dipendenti fino ai 70 anni: è il caso di grandi nomi come Meiji Yasuda Life Insurance, Toyota, Mazda. Nel 2021 la catena di elettronica Nojima è andata oltre, eliminando del tutto l'età pensionabile obbligatoria. E dalla fine del 2023, nelle aree rurali i tassisti possono lavorare fino a 80 anni.
Alzare l'età pensionabile: cosa significa per il lavoro?
L'innalzamento dell'età pensionabile incide sull'occupazione giovanile? E sulla disoccupazione in generale? Esistono percorsi per favorire il passaggio di competenze tra lavoratori esperti e nuove assunzioni? Ecco una panoramica su Francia, Germania, Giappone e Stati Uniti.
Il Giappone registra il tasso di occupazione più elevato tra i 25-64enni: 79,8%. La Germania è seconda (77,7%), seguita dagli Stati Uniti (71,7%) e dalla Francia (68,9%) (dati OCSE per il quarto trimestre 2024, pubblicati il 17 aprile 2025). Queste medie, pur positive, nascondono però divari importanti. Un rapporto OCSE del 3 luglio 2025 rileva che la popolazione in età lavorativa del Giappone è diminuita del 16% tra il 1995 (87,3 milioni) e il 2024 (73,7 milioni). Tra chi lavora, la quota di persone anziane è sempre più ampia. Il Giappone è il Paese del G7 dove gli over 55 restano al lavoro più a lungo: circa l'80% dei 55–64enni è occupato, contro il 76,4% in Germania, il 65,8% negli Stati Uniti e il 61,7% in Francia. Quasi il 30% dei giapponesi con 65 anni e più continua a lavorare - ben oltre rispetto agli Stati Uniti (19,2%), alla Germania (9,1%) e alla Francia (4,3%).
Nel 2023 l'OCSE stimava al 49,9% la partecipazione al mercato del lavoro dei giovani giapponesi (15-24 anni). Il dato è leggermente inferiore a quello di Germania e Stati Uniti (rispettivamente 54% e 56,3%), ma superiore alla Francia (42,5%). Restano più esposti al lavoro precario proprio i giovani - soprattutto chi ha poche o nessuna qualifica - così come i lavoratori anziani con un legame debole con il mercato del lavoro.
Occupazione giovanile e senior: stereotipi duri a morire
Secondo l', i tassi di disoccupazione sia dei giovani sia degli over 55 sono diminuiti. Restano però delle criticità: i professionisti più anziani restano senza lavoro per periodi più lunghi, mentre i giovani con basse qualifiche sono i più esposti al rischio di disoccupazione. In Francia la partecipazione al mercato del lavoro, sia dei più giovani che dei lavoratori maturi, è inferiore rispetto a molti altri Paesi europei, in particolare quelli nordici. Nei periodi di austerità, molte imprese si concentrano sulla “redditività”. Il quadro che ne deriva è questo: i giovani assunti non avrebbero l'esperienza necessaria per essere subito produttivi, i senior avrebbero sì esperienza ma una produttività in calo. In entrambi i casi, le aziende finiscono per concludere che entrambi i gruppi “costano troppo”.
La Germania arriva a un'altra conclusione. A differenza della Francia, l'apprendistato è da tempo un pilastro del modello sociale tedesco. Gli esperti sostengono che questo sistema aiuti più giovani a trovare lavoro e a sviluppare competenze, oltre a valorizzare mestieri tecnici e manuali spesso trascurati a favore delle professioni d'ufficio. La Francia, conscia di questa lacuna, ha cercato di correggere il tiro, prendendo esempio proprio dalla Germania. Secondo l'INSEE, il numero di apprendisti in Francia è più che raddoppiato tra il 2017 e il 2023.
Il Giappone si trova di fronte a un'altra serie di problemi. Le nuove generazioni respingono la cultura del lavoro dei genitori, mentre il calo demografico costringe molti anziani a restare più a lungo nel mercato del lavoro. Le pensioni spesso non bastano a garantire un tenore di vita dignitoso. Già nel 2019 il governo aveva invitato i cittadini a risparmiare almeno 170.000 € entro i 65 anni, un obiettivo che molti giudicano irrealistico. Un sondaggio del 2020 di SMBC Consumer Finance ha rivelato che oltre il 60% dei giapponesi quarantenni possedeva meno di 10.000 € di risparmi.
Il ruolo dei senior nel mercato del lavoro internazionale
Un contesto globale segnato da carenza cronica di manodopera, calo delle nascite e difficoltà nella formazione spinge i governi a usare tutti gli strumenti disponibili per riequilibrare domanda e offerta di lavoro. La questione centrale è come favorire la collaborazione, e non la competizione, tra giovani e lavoratori più anziani, così da migliorare il passaggio di competenze e aumentare la produttività.
Uno mutuo scambio di conoscenze
Le aziende puntano spesso sul trasferimento dall'alto verso il basso: i dipendenti più esperti che formano i nuovi assunti. Altre realtà, invece, promuovono un modello più circolare, considerato più semplice da applicare perché ognuno ha qualcosa da insegnare. I più giovani, cresciuti nel digitale, possono aiutare i colleghi senior a familiarizzare con le nuove tecnologie; in cambio, i senior trasmettono la loro esperienza. Questo scambio circolare rende più fluido il lavoro intergenerazionale. Chi lo sostiene sottolinea vantaggi concreti, tra cui una maggiore produttività. I senior non sono necessariamente destinati a uscire dal mercato: grazie alla formazione continua tra pari acquisiscono nuove competenze e restano aggiornati. Parallelamente, i giovani diventano operativi più velocemente grazie al supporto e alla guida dei colleghi con più esperienza.
Integrazione dei senior sul lavoro
Il documento "Perspectives de l'emploi de l'OCDE 2025", pubblicato il 9 luglio 2025, parla di sondaggi, condotti negli Stati Uniti, che mostrano come molti lavoratori più anziani siano esposti a rischi fisici: fumo e vapori, gas, oggetti taglienti o pesanti, sostanze chimiche, movimenti faticosi o ripetitivi, temperature estreme, rumore, vibrazioni e altro ancora - pericoli strettamente legati alle professioni che svolgono. Molte di queste sono mansioni in cui la manodopera scarseggia. Nel settore sanitario, ad esempio, l'OCSE segnala che i lavoratori tra i 55 e i 64 anni hanno oltre il 60% di probabilità di essere esposti a rischi fisici.
Ma come vengono integrati i senior in settori come sanità, edilizia ed engegneria? In Francia, aziende come NGE (costruzioni) e Keolis (trasporto pubblico, gruppo franco-quebecchese) hanno fatto dell'occupazione dei lavoratori anziani un pilastro della loro strategia per contrastare la carenza di manodopera. Lo stesso approccio guida realtà come SNCF, EDF, Enedis (distribuzione elettrica) ed Elior (ristorazione). La parola d'ordine è chiara: assumere senior rafforza il passaggio di competenze e garantisce continuità nelle operazioni.
Anche le imprese tecnologiche puntano sull'esperienza dei senior. Intel, IBM, Salesforce, Apple, Microsoft, Cisco, HP e Google sottolineano l'importanza di assumere professionisti esperti. Essere un senior non significa affatto essere privi di competenze digitali o tecnologiche. Anzi, molti innovatori di fama mondiale - oggi più avanti con gli anni - continuano a trasformare il settore. La loro esperienza profonda offre un vantaggio iniziale e consente di valutare le novità con uno sguardo più ampio rispetto alle nuove leve.
Le discriminazioni restano
Le iniziative aziendali non eliminano però la realtà di una discriminazione legata all'età, che continua a resistere. I lavoratori più anziani la vivono sulla propria pelle, anche se i politici dichiarano di voler favorire l'occupazione dei senior. I pregiudizi si fanno ancora più forti verso chi cerca lavoro dopo una certa età, soprattutto se ha alle spalle lunghi periodi di disoccupazione. Molti datori di lavoro associano i vuoti nel curriculum al “non aver fatto nulla”, ignorando attività non retribuite o altri impegni svolti in quel periodo.
Un ulteriore ostacolo è l'idea, spesso infondata, che i lavoratori anziani siano più restii al cambiamento, meno adattabili e poco propensi a imparare nuove metodologie. In alcuni casi, le aziende lasciano andare personale altamente competente solo per ragioni anagrafiche. Eppure, gli anziani che hanno un impiego hanno molte più probabilità di restare occupati anche dopo i 60 anni, mentre chi è disoccupato a 50 anni rischia con maggiore facilità di restarlo anche a 60. Secondo l'OCSE, l'innalzamento dell'età pensionabile può quindi aumentare il rischio di impoverimento per milioni di persone escluse dal mercato del lavoro. I senior impiegati in lavori precari - part-time, mal retribuiti o fisicamente pesanti - non se la cavano molto meglio.
Invecchiamento della popolazione e ridifinizione del mercato internazionale
Le proiezioni delle Nazioni Unite indicano che entro il 2100 le principali economie mondiali potrebbero perdere dal 20 al 50% della loro popolazione. Un rapporto del McKinsey Global Institute rileva che la natalità è calata in tutti i continenti: circa 1,6-1,8 figli per donna nelle Americhe e in Oceania, 1,4 in Europa e appena 1 in Asia orientale. Solo l'Africa fa eccezione, con una media compresa tra 2,4 e 4,4 figli per donna (dati 2023). Entro il 2050, gli over 65 rappresenteranno un quarto dei consumatori a livello globale. Molti economisti sostengono l'aumento dell'età pensionabile: se si vive più a lungo, si dovrebbe anche lavorare più a lungo.
Altri però, mettono in guardia contro eccessive semplificazioni. Le carriere non sono lineari né uguali per tutti. Il mercato del lavoro globale è diseguale. Non si può alzare l'età pensionabile senza considerare le specificità di ogni settore: ci sono mestieri fisicamente troppo gravosi perché possano essere sostenuti da lavoratori senior.
Un mercato internazionale che si adatta al profilo dei lavoratori
Ridefinire il mercato del lavoro internazionale significa tenere conto delle sfide di oggi e di quelle che arriveranno. Oltre al trasferimento “circolare” delle competenze, molti osservatori sottolineano l'importanza di ascoltare più da vicino ciò che i lavoratori desiderano nelle diverse fasi della vita. Nel suo rapporto 2025, l'OCSE evidenzia diversi fattori che incidono sulla motivazione - e quindi sulla competitività - dei lavoratori senior. Non ci si può concentrare solo sullo stress lavorativo. Le ricerche mostrano che chi è più avanti con gli anni attribuisce grande valore alla flessibilità e all'autonomia: vuole poter gestire i propri orari, avere maggiore indipendenza e ottenere riconoscimento per la qualità del lavoro svolto. Per questo, alcune professioni - in particolare nei settori delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, della gestione, dell'amministrazione e dell'ingegneria - risultano più adatte ai profili senior. Al contrario, i lavori in catena di montaggio o i ruoli con scarsa flessibilità sono meno consoni. Gli economisti ritengono che le aziende dovrebbero accelerare l'adattamento dei posti di lavoro ai dipendenti più anziani: solo così le politiche per aumentare l'occupazione senior possono davvero essere efficaci.
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