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Cambiamenti climatici e migrazioni: le politiche dei Paesi

Taketomijima à Ishigaki au Japon
leungchopan / Envato Elements
Scritto daAsaël Häzaqil 20 Agosto 2025

Il numero di eventi climatici estremi continua a crescere e con esso le domande sul futuro. Che ne sarà delle popolazioni più vulnerabili? L'idea di costruire isole o territori artificiali circola da tempo, ma resta una risposta parziale e temporanea. Alcuni Stati hanno iniziato a guardare oltre, alla ricerca di soluzioni strutturali e durature. In questo approfondimento raccontiamo quali strade si stanno aprendo.

Visti climatici per le persone minacciate dai disastri naturali

Nel 1973 il romanzo di fantascienza Japan Sinks (Il Giappone affonda) di Komatsu Sakyō fece scalpore. L'autore immaginava un Giappone devastato da catastrofi naturali e raccontava di negoziati segreti con altri Paesi – tra cui l'Australia – per mettere in salvo la popolazione. Tradotto in molte lingue e adattato in film, serie TV, anime e manga, il bestseller continua ad alimentare discussioni. Le versioni più recenti hanno smorzato i toni nazionalisti per dare spazio alla diversità e alla necessità di cooperazione tra Stati. Oggi la realtà sembra avvicinarsi alla finzione: i disastri che colpiscono l'arcipelago costringono istituzioni e cittadini a riflettere. Per il Giappone la migrazione climatica non è una realtà imminente, ma c'è chi si domanda come fare per proteggere il Paese dai rischi naturali. Altri Stati, invece, si stanno già muovendo.

Migrazione climatica: cosa succede a Tuvalu

A maggio 2024, Tuvalu e Australia hanno firmato un trattato di migrazione climatica, il primo del suo genere, secondo Canberra. L'accordo consente ai cittadini tuvaluani di ottenere un “visto climatico”, aperto anche a persone con disabilità o problemi di salute, categorie spesso escluse dai programmi di visto. Restano fuori invece i cittadini neozelandesi, perché lo schema è pensato per chi non ha alternative. Tuvalu è uno degli Stati più minacciati dal cambiamento climatico: la NASA prevede che gran parte delle sue infrastrutture sarà sommersa entro il 2050.

Quote e aiuti al reinsediamento

Ogni anno saranno concessi solo 280 visti, un numero irrisorio rispetto alle richieste: il 18 luglio hanno partecipato alla lotteria circa 8.750 tuvaluani su 11.000 abitanti. In pratica, l'80% della popolazione spera di ottenerne uno, non per fuggire subito ma per garantirsi un futuro sicuro. Il visto permette la libera circolazione tra Australia e Tuvalu e dà diritto a lavorare e studiare in Australia. Il processo di selezione è iniziato il 25 luglio ed è casuale. Il Ministero degli Interni australiano ammette che non ci sarà posto per tutti, ma si impegna a sostenere Tuvalu nell'adattamento ai rischi climatici. L'accordo conferma Tuvalu come Stato indipendente, anche se rimane l'incertezza su come questa indipendenza potrà essere esercitata nel tempo.

Migrazione climatica: cosa propongono gli altri Stati?

Per ora la questione è particolarmente sentita nelle isole del Pacifico: il 90% della popolazione si dichiara preoccupato per gli spostamenti forzati legati al clima, contro meno del 50% degli americani. L'Australia spera che la sua iniziativa diventi un modello. Maldive, Isole Marshall e Kiribati – anch'esse minacciate dall'innalzamento del mare – chiedono programmi analoghi. Nel frattempo, le Maldive costruiscono isole artificiali come Hulhumalé, che si trova due metri sopra il livello del mare, ma gli esperti la considerano una soluzione precaria

Stati Uniti

Washington ha firmato diversi Compacts of Free Association con Stati a rischio sommersione: Isole Marshall, Palau e Micronesia. Questi accordi consentono ai cittadini di vivere e lavorare liberamente negli USA, ma con accesso limitato alla previdenza sociale. La scarsa sensibilità dell'attuale presidente verso l'emergenza climatica rappresenta un ostacolo: nel marzo 2025 il presidente di Palau, Surangel Whipps Jr., ha accusato Donald Trump di scarso impegno.

Argentina e India

Nel 2023 l'Argentina ha introdotto un visto umanitario per cittadini latinoamericani costretti a lasciare le loro case a causa di disastri climatici. In India, l'esperienza australiana ha acceso il dibattito: alcuni membri del governo propongono di creare un “visto climatico indiano” come strumento per migliorare l'immagine internazionale del Paese e, allo stesso tempo, attrarre nuovi talenti.

Nuova Zelanda

Già nel 2017 la Nuova Zelanda aveva lanciato un programma per accogliere migranti climatici dal Pacifico. L'iniziativa fu però respinta dalle comunità interessate, che chiesero invece al governo di rafforzare le politiche di decarbonizzazione per combattere l'inquinamento alla fonte.

Africa: la Dichiarazione di Kampala

Il continente africano è in prima linea di fronte al cambiamento climatico, dove le temperature in aumento e le inondazioni forzano milioni di persone a lasciare le proprie case. Secondo l'UNHCR, negli ultimi dieci anni ci sono stati 220 milioni di sfollati interni. Per affrontare l'emergenza, nel 2022 diversi Stati africani hanno adottato la Dichiarazione ministeriale di Kampala su migrazione, ambiente e cambiamenti climatici, basata su una serie di convenzioni (1951, 1969, 2009 e altre) che mirano a garantire protezione legale alle popolazioni sfollate. La sfida ora è l'attuazione concreta di questi impegni.

Verso il rilascio del passaporto climatico?

La Banca Mondiale stima che entro il 2050 ci saranno 216 milioni di migranti climatici. Tra le soluzioni proposte c'è l'apertura delle frontiere con un “passaporto climatico”. Nell'ottobre 2023 il governo tedesco, guidato da Olaf Scholz, ha valutato l'idea di introdurre un passaporto e un visto climatici. Non si tratta però di un concetto nuovo: già nel 2018 alcuni esperti tedeschi avevano avanzato la proposta, pensata per i cittadini di territori destinati a scomparire.

I recenti disastri hanno riacceso il dibattito anche in Francia, ancora segnata dal passaggio del ciclone Chido che ha colpito Mayotte il 14 dicembre 2024. La proposta, però, è ben lontana dal trovare un consenso: l'urgenza climatica si scontra con i calcoli politici e con la tendenza globale a chiudere le frontiere. I movimenti di estrema destra vi si oppongono, sostenendo che favorirebbe nuovi arrivi; i sostenitori replicano che, al contrario, i Paesi più responsabili dell'inquinamento sono spesso quelli meno colpiti dalle catastrofi naturali. A Tuvalu molti condividono questa posizione, ricordando la responsabilità dell'Australia nell'inquinamento marino.

Migranti climatici o rifugiati?

Bisogna parlare di “rifugiati climatici”? L'Australia dice di no: il suo visto climatico non va confuso con lo status di rifugiato, che riguarda chi subisce persecuzioni e ha diritto all'asilo. I migranti climatici non rientrano in questa categoria. L'espressione “rifugiati climatici” è però entrata nel linguaggio comune per indicare persone costrette a lasciare il proprio Paese a causa di disastri ambientali, ma il termine non ha valenza legale. È proprio questa ambiguità a generare controversie.

Serve uno status giuridico?

I detrattori ritengono di no, sottolineando che la maggior parte dei migranti climatici si sposta all'interno del proprio Paese. Altri guardano a casi come quello di Tuvalu e sostengono che riconoscere uno status giuridico aiuterebbe a preservare identità, cultura e storia di intere popolazioni.

Il tema è stato affrontato anche nella serie TV Japan Sinks: People of Hope, andata in onda nel 2021, tratta dal romanzo di Komatsu. Nella storia, per mantenere vivi i legami sociali e culturali, i protagonisti si affidano a soluzioni digitali. Nel 2023 lo Stato di Tuvalu ha ipotizzato di “trasferirsi” nel metaverso per salvaguardare la propria cultura. Una strategia innovativa ma non priva di limiti, compreso l'impatto ambientale delle tecnologie digitali. Al momento non è ancora stata trovata una soluzione sostenibile al 100%, ma è ormai chiaro che la migrazione climatica sarà una delle grandi sfide dei prossimi decenni.

Fonti:

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A proposito di

Asaël Häzaq, web editor specializzato in notizie politiche e socioeconomiche, osserva e decifra le tendenze dell'economia internazionale. Grazie alla sua esperienza come espatriata in Giappone, offre consigli e analisi sulla vita da espatriato: scelta del visto, studi, ricerca di lavoro, vita lavorativa, apprendimento della lingua, scoperta del Paese. Titolare di un Master II in Giurisprudenza - Scienze Politiche, ha sperimentato anche la vita da nomade digitale.

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